Si è figli per sempre

copertina vita e morte di un ingegnere
edoardo albinati, vita e morte di un ingegnere

“Ora che mio padre non c’è più e io mi trovo a pensare a lui come non avevo mai pensato quando era vivo, mi rendo conto di quante volte egli deve aver tentato di mettersi in comunicazione con me attraverso quella chiave scherzosa, quante volte ha fallito”.

Avere tra le mani un libro nel quale un figlio parla del padre.
Del padre in vita e del padre che muore.
E soprattutto di se stesso.
Avere tra le mani un libro che parla di pensieri, pancia, esserci e non esserci, paure un po’, difese e impotenza, che tira delle somme senza mettere l’ultima cifra, che sbatte contro ricordi veri e offuscati, verità e lievi bugie, bruttezze fatte di bianchi medici e ospedali, distacco e rimorso del distacco.

Un libro che parla di un padre ma soprattutto di un figlio, perché alla fine siamo noi che rimaniamo qui a guardare quella montagna, quella casa, a combattere coi sogni nella notte, a scervellarci se un ricordo che affiora sia proprio così o se intorno ci abbiamo messo qualcosa di nostro, per rendere tutto un po’ più semplice da vivere.

Siamo noi che restiamo qui a scrollare la testa alla ricerca di ricordi, di angoli di noi, di cose che mentre la mano di un padre scivolava via non abbiamo avuto il coraggio di frugare, ricordare, riprendere, affogati nel momento straziante dell’addio.

E ora

“mentre questo sentimento sbiadisce un altro sentimento che non ho mai provato prima d’ora prende il suo posto, a un’angoscia ne subentra un’altra del tutto opposta, ed è la paura di dimenticare”

Ed è vero che col passare del tempo

“le superfici cominciano a splendere, splendono le cose secondarie, i ricordi più fiochi e le parole che dicevamo per caso e che non avremmo appuntato nemmeno a matita ora diventano leggende”

Ognuno ha il suo animo, la sua voce, il suo sentire.
C’è chi non sente  e non sentirà tutto questo, semplicemente perché il distacco fa parte della vita.
C’è chi sente e sentirà tutto questo e vivrà il proprio frugare nei ricordi e tenerli stretti come un bisogno per sentirsi sempre vicini.

Io no.
Non è per questo che nulla passa per me.
La verità sta tutta qui:

Malgrado mio padre non ci sia più e io abbia i miei bambini e tutto faccia ritenere che il tempo della mia giovinezza sia trascorso, sento di essere rimasto un figlio, e rimarrò figlio per sempre.

Anche se mio padre è morto e sepolto, io continuo a pensare a lui come a un uomo e a me come a un ragazzo.
Un ragazzo invecchiato, carico di responsabilità adulte, d’accordo, che a sua volta ha generato figli, perduto capelli, comprato automobili, viaggiato non più in cuccetta, ma pur sempre un ragazzo.
Ho l’impressione che fino a quando camperò io sarò sempre, prima di tutto un “figlio”

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