Sant’Ermete: stramûo e sorrido

A me la festa di Sant’Ermete piace.
Ogni anno mi piace, mi mette allegria.
Ci trovo ogni volta un senso di serenità che altri giorni smarrisco troppo spesso; ci trovo un’anima bambina – la mia – che si immerge e si lascia portare dalla bellezza, senza troppo indugiare sui soliti pensieri ed elucubrazioni della mia anima sempre – spesso – in tormento.
E ci penso, penso al perché sia così; in fondo le feste patronali spesso si somigliano tutte.
Eppure Sant’Ermete mi emoziona.
E non è perché è la mia, non perché è quella del mio paese; io in fondo non appartengo nell’anima a questo paese.
Io credo ci sia dell’altro.

La festa ha un sapore antico, di radicata memoria; per certi aspetti pare di trovarsi in un vecchio film dai colori forzati, dove eccedono le luci gialle e tutto vira al seppiato, benché sappiamo che in realtà le radici nel passato sono molto più profonde.
Riporta agli occhi una profonda tradizione della nostra terra – quella dei Cristi – tenendo vivi gesti antichi, tramandati e sempre uguali, meravigliosamente e semplicemente veri.

Io penso che uno dei motivi per i quali questa festa ti entra dentro sia il fatto che il suo fulcro, la processione, sia davvero “la festa”.
Non ci sono altre distrazioni.
Non ci sono le decine di bancarelle a confondere; non bastano, per questo, una bancarella di dolciumi e una di giocattoli relegate sulla piazza.
La pesca di beneficenza è roba di paese, oggetti che hai regalato e vai a ripescare con l’unico scopo di contribuire alla sopravvivenza dell’asilo parrocchiale.
Le frittelle sono fatte e vendute da padri, mariti, nonni e nonne.
Ed è tutto qui, la nostra festa in piazza; ma forse proprio per questo c’è di più.

I Portatori di Cristi, con le loro cappe e i loro tabarini, mostrano tutta la fatica e sofferenza dell’avanzare e fermarsi, del peso da portare e dell’equilibrio da raggiungere e mantenere. Il nostro paese è appeso alla collina, la processione si snoda tra salita e discesa; eppure questa fatica, questo sudare sono allegri, festosi.
I Cristi sono gioiosi.
C’è uno strano fluido che ti si riversa dentro mentre li guardi passare maestosi, tra una danza e uno “stramûo“.
E’ un paradosso?
Forse sta proprio qui la chiave di lettura cattolica; tanti elementi che disegnano fatica, dolore anche. I Cristi sofferenti, il sudore di chi li porta, l’attenzione di chi accompagna.. perfino i bambini entrano nella parte e portano la loro croce, fatta su misura per loro, infilata nei piccoli crocchi. Anche loro fanno lo stramûo e aprono la processione con sguardo serio e fiero.
Eppure tutto questo è la gioia di una festa; te la senti addosso, ti si appiccica addosso e sorridi senza accorgertene quasi.
Sorridevo e non me n’ero accorta.

L’Anna mi si è addormentata in braccio.
L’ho tenuta così, sulla mia spalla, per buona parte della serata.
Fatica e abbraccio.
Fatica e gioia.
La mia piccola, recalcitrante, allegra e infinita croce di tenerezza.

Marco ha portato la croce piccola.
Da grande farà il calciatore, il portatore di Cristi e il cuoco, ha detto.
Anche se domani sarà pieno di dolori per questa fatica, ha aggiunto con un sorriso orgoglioso.

E forse ha capito più di noi.
🙂

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