L’alluvione da qui

Comunque finirà, quando finirà, non dimenticherò questi giorni.
Da una parte la Liguria, la mia Liguria, martoriata e offesa da fango e acqua; dall’altra questa eterna sensazione di impotente attesa, questa tensione continua a scrutare il cielo, ascoltare il rumore della pioggia, misurare l’acqua che cade.
All’improvviso non c’è altra notizia importante, non c’è differenza tra notte e giorno. All’improvviso hai solo paura di quello che vedi, hai paura che la rabbia dell’acqua possa colpire anche qui. E guardare le immagini di Genova, rivedere il fango che sommerge le Cinque Terre e la Val di Vara ti fanno solo sentire immerso in questo vortice di disastro dal quale,  ogni minuto che passa, sembra impossibile uscire.

Ho avuto paura e ho paura.
Punto un’ora e ne faccio la scadenza della mia ansia ma quest’ora continua a sfuggirmi, la fine dell’allerta slitta continuamente e non arriva mai.
E’ un po’ come un incubo dal quale non ci si riesce a svegliare.

Mentre scrivo è notte, diluvia e non smette, tuona e temo che tutto arrivi anche qui questa volta. I bambini dormono di là e per loro è tutta la mia ansia.
La mia casa appesa alla montagna sul mare sta aggrappata alla terra.
E intanto l’acqua cade e scorre.
E ora le ferite di questa Liguria mi bruciano addosso.
L’impotenza è quella cosa che ti fa pulire i canali, liberare i solchi di deflusso per l’acqua, pulire le griglie e i tombini. Quella cosa che ti fa controllare il letto del torrente che ti passa vicino, che ti fa togliere foglie e erba accumulate. E quando hai fatto tutto quello che devi, che puoi fare, ti fermi e aspetti. Perché tanto sai che potrebbe non servire a nulla, potrebbe non bastare se il cielo decide di mandare giù l’acqua che ha mandato a Monterosso o a Brugnato.
In questa terra verticale di ruscelli corti e ripidi contano le frazioni di secondo e le frazioni di secondo non bastano, non danno il tempo neppure di stupirti.

Io questi giorni non li dimenticherò. Per le ferite che la mia terra si porta addosso, per le storie, le tragedie, gli attimi che salvano e che uccidono.
Per le braccia che lavorano giorno e notte, per le immagini che scuotono e che non possono non restarti addosso, per il cielo nero, viola cupo che ho scrutato e scruto senza tregua.
Per la paura. Paura di una pioggia che non si ferma, di un cielo che non si apre, di messaggi di allarme ripetuti ai megafoni.
Aspettare, aspettare, aspettare.
E la voglia, il bisogno inutile di urlare “Basta!”.

3 thoughts on “L’alluvione da qui

  1. non so perché ma mi vengono in mente i titoli di un album del Banco che risale al 1978..

    Nel Cielo e Nelle Altre Cose Mutue
    Terramadre
    Non Senza Dolore
    Io Vivo Ascolta
    Ne’ Piu Di Un Albero Non Meno di Una Stella
    Nei Suoni e Nei Silenzi
    Di Terra

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