Il mare d’inverno

Questa è una storia straziante cominciata circa dieci mesi fa.
E’ la storia di una ragazza, una donna dovrei dire.. ma aveva pressapoco la mia età e mi viene da dire ragazza.
Una mattina all’alba è uscita di casa e non è più tornata.
L’abbiamo cercata, abbiamo tappezzato i muri di volantini.
La mamma ha contattato subito la polizia.
Abbiamo subito pensato al peggio, al mare, a lei che si gettava nelle acque gelide. Avrebbe potuto farlo, lo sapevamo.
E abbiamo pensato che il mare avrebbe potuto restituirla, non qui magari ma nelle acque francesi, com’era già capitato con altri casi analoghi. Conosciamo le correnti che da queste coste portano sempre, spesso, laggiù.
Ma passavano i mesi e il silenzio era l’unica notizia. La polizia non aveva nulla mai da dire a una madre disperata.
E quando vince il silenzio, quel silenzio si anima di congetture. Una telefonata mai verificata, segnalazioni che ti appendono a una speranza.
In questa storia c’è una madre che per mesi regolarmente bussa alle porte delle forze dell’ordine e non ha risposte. E quelle che riceve hanno il sapore amaro di chi ha ben altro da fare e cerca in qualche modo di “liberarsi” di una scocciatura.
Mesi, giorni così.
Gli unici davvero vicini, presenti e soprattutto partecipi sono quelli della redazione di chi l’ha visto. Passano la segnalazione, la fotografia, i dati. Chiamano per sapere se ci sono nuovi elementi. Chiedono. Cercano. Ripassano la foto. Pubblicano l’appello sul sito.

E sono passati dieci mesi.
Questa storia ha un epilogo.
Ed è tragico ma non solo. E’ avvilente e fa rabbia.
Una settimana fa la redazione di chi l’ha visto contatta la mamma. La storia è un po’ più articolata ma cerco di farla breve.
La polizia francese ha trovato un corpo su una spiaggia di Saint Tropez.
Una scarpa, un paio di mutandine, una otturazione in un dente, un particolare della scatola cranica… tutto combacia.
E sarebbe un epilogo che avevamo considerato. Se non fosse che il corpo è stato trovato su quella spiaggia durante una mareggiata a marzo.
Sì, marzo scorso.
Due mesi dopo la scomparsa.
Otto mesi fa.
La polizia francese ha raccolto il corpo.
Ha fatto divulgare la notizia agli organi di stampa.
Ha fatto un appello per raccogliere segnalazioni.
Ha aperto un fascicolo e ha dedotto dalle marche degli indumenti che probabilmente si trattava di una donna italiana.
Ha fatto l’esame del DNA, una ricostruzione computerizzata del viso, ha raccolto tutti i dati e i risultati, ha contattato l’Interpol e ha inviato il fascicolo completo alle questure.
Ma nessuna questura ha mai incrociato i dati. Nessuno ha mai chiesto alla madre un esame del DNA. Nessuno forse ha mai aperto davvero quel fascicolo.
A nessuno ha mai mosso il cuore una madre dignitosa e disperata.
Era tutto lì, a portata di mano, forse tutto sullo stesso tavolo, mentre facevamo il giro dei conventi, mentre contattavamo i centri Caritas, mentre una madre si aggrappava a dubbi e domande.

La storia, raccolta adesso, ci dice che a giugno, dopo tre mesi di silenzio, i francesi hanno avuto il cuore di dare a quel corpo una degna sepoltura. E ora riposa in un cimitero francese, in una tomba con una lapide, i fiori, un nome inventato per darle una identità.
Dopo tutto questo silenzio, i francesi però non si sono dati per vinti.. loro no.
E hanno pensato di contattare l’ambasciata italiana.
E l’ambasciata italiana ha detto loro di contattare chi l’ha visto.
Proprio così.
E con quei dati in mano chi l’ha visto ha dato un nome a quel corpo.
Due ragazzi della redazione sono andati da quella madre.
Sono stati con lei e i parenti.
Li hanno accompagnati in Francia.
Li hanno assistiti.
Li hanno aiutati nelle pratiche, accompagnati nei diversi uffici, hanno fatto da interpreti.
Hanno dimostrato umanità, delicatezza e disponibilità davvero grandi.
Così come la polizia francese.
Umanità. Disponibilità totale.
Pietà anche, sì.
Quell’esame del DNA mai fatto qui lo hanno fatto i francesi alla mamma.
Che ora aspetta solo di riportare qui sua figlia, quando i risultati saranno ufficiali, quando si potrà.

Nello strazio di questa tragedia vissuta da vicino resta oltre al dolore la rabbia, tanta rabbia, per quell’unica risposta cercata e non avuta per mesi.
Per la superficialità, il distacco di chi la risposta l’aveva lì, in una busta, in una cartellina.
E non si è sentito smuovere di fronte alla disperazione di una madre.

Resta anche la riconoscenza per chi invece fa il suo mestiere ma lo fa mettendoci tutta l’umanità possibile. E’ così che un mestiere diventa un servizio.
E sono la redazione di chi l’ha visto, la conduttrice che ancora ora, ora che è tutto finito, chiama… e la polizia francese che tutto il possibile ha fatto per dare un nome, una identità a un corpo raccolto dal mare.

Questa è la storia che volevo raccontare.
Io adesso a guardare il mare dall’alto, scendendo da casa mia, penso a lei portata dalla corrente. Penso a lei che si abbandona. Penso all’acqua tutta intorno a lei.
Al mare che la abbracciava mentre noi fuori ci muovevamo nelle strade, attaccavamo volantini, seguivamo supposizioni.

Questo penso.

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